Considerando 38 del Gdpr: “i minori meritano una specifica protezione relativamente ai loro dati personali, in quanto possono essere meno consapevoli dei rischi, delle conseguenze e delle misure di salvaguardia interessate, nonché dei loro diritti in relazione al trattamento dei dati personali”.
E’ una moda che, ormai, non riguarda più solo i Vip quella di condividere foto e video dei propri figli sui social. Il narcisismo dilagante, accompagnato dalla sempre più consolidata tendenza, che l’avvento dei social ci ha inculcato, ad esporre pubblicamente le nostre emozioni, i momenti quotidiani o i ricordi più intimi in cambio di like e visualizzazioni, ha portato ad una pericolosa sovraesposizione e spettacolarizzazione della nostra vita sulle piattaforme social. Desta molta preoccupazione, però, quando a farne le spese sono i più piccoli. Basta accedere a Instagram, Facebook e Tik Tok per imbattersi in migliaia di post di genitori che, un po’ per orgoglio e un po’ per suscitare la tenerezza o la simpatia dei propri followers, condividono compulsivamente ogni momento, anche il più intimo, della vita del proprio bambino.
Questo fenomeno, definito con il nome di “sharenting” (dalle parole inglesi “share”- condividere e “parenting” – genitorialità), caratterizzato dalla condivisione online costante da parte dei genitori di contenuti che riguardano i propri figli, nasconde dei pericoli dei quali non sempre i genitori sono ben consapevoli.
Tanti genitori non sanno a cosa si va incontro e cosa voglia dire davvero pubblicare online così tanto materiale, di ogni genere, riguardante i figli; entusiasti di mostrarsi bravi genitori o di mostrare al mondo i progressi dei propri bambini, non fanno caso alla quantità di dati personali, a volte sensibili, che rivelano con le proprie condivisioni. Questa eccessiva divulgazione senza limiti di foto e video, che spesso non coinvolge solo i genitori ma anche parenti e amici, comporta l’amplificazione della perdita di controllo nel tempo dei dati condivisi. Un contenuto pubblicato oggi sui social può essere condiviso e raggiungere differenti tipologie di persone nel corso del tempo. Di conseguenza non si può sempre sapere che tipo di uso viene fatto di quel contenuto condiviso. Basti pensare che in qualsiasi momento chiunque può fare uno screenshot dello schermo e appropriarsi di un video, di una chat o di una foto condivisa sul web.
Tutto ciò determina, a tutti gli effetti, una violazione della privacy del minore per mano del genitore. I contenuti non solo vengono condivisi nella maggior parte dei casi senza il consenso del bambino, ma, una volta immessi nella rete, creano un archivio digitale di immagini o video, una sorta di «dossier digitale» del bambino, pubblico e fruibile da chiunque, per i scopi più disparati. Il web non dimentica e un genitore che decide per conto del proprio figlio di condividere un’informazione, lo espone senza neanche rendersene conto a pericoli ben più pericolosi che non riguardano solo la violazione della privacy e dell’immagine.
E se quei contenuti oggi pubblicati ingenuamente venissero un giorno usati contro di lui da qualche compagno di classe innescando fenomeni di bullismo e cyberbullismo? E se quelle foto venissero utilizzate a scopo pedopornografico o per l’addescamento di minori?
L’incalzante sviluppo della tecnologia ci condurrà sempre più a considerare normale e banale la condivisione di contenuti ritraenti minori. Perciò, poiché non esistono rimedi o strumenti scientifici efficaci contro lo sharenting, è opportuno che un genitore, proprio in virtù del suo dovere di protezione nei confronti di un figlio, riceva una solida educazione civica digitale che gli permetta di avere la piena consapevolezza delle conseguenze relative a quello che fa in rete.
Un genitore può tutelare il proprio bambino adottando alcune semplici accortezze:
– conoscere le politiche sulla privacy delle piattaforme digitali su cui si condividono immagini e contenuti;
– interrogarsi, prima di condividere un contenuto in rete, sull’effetto che quel contenuto potrebbe avere anche in futuro sulla vita del proprio bambino o se potrebbe nuocergli;
– Aggiornare le impostazioni privacy su ogni Social Network e controllare scrupolosamente le impostazioni della privacy generali del proprio profilo e quelle del singolo post ogni volta che si sta per condividere un contenuto che riguardi i propri figli o altri minori di cui si è responsabili;
– condividere online foto e video rendendo irriconoscibili i propri bambini, pixellando o coprendoli con una emoticon o con un’altra immagine, in modo tale che non sia ritratto direttamente il volto o eventuali parti intime.
La privacy è un diritto non solo degli adulti, ma anche dei bambini. Rispettiamoli.
Valentina Iacuitto